Presso il nostro studio medico è possibile effettuare un test genetico in grado di valutare la personale capacità di detossificazione epatica nonché la bilancia ossidativa (radicali liberi/antiossidanti).

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Perché effettuare il test genetico sulla capacità di detossificazione epatica?

Le materie plastiche sono prodotti organici sintetici o naturali ad elevato peso molecolare che, in base alla loro conformazione molecolare, possono assumere diverse caratteristiche chimico-fisiche: possono essere molto elastiche, molto flessibili, molto dure e resistenti alle fiamme libere. Di conseguenza, da quando sono state implementate nei processi di sintesi industriale, a partire dagli anni ’50 ad oggi, si sono diffuse in moltissimi prodotti di consumo.

Questi sono composti nuovi per il nostro organismo, e purtroppo i sistemi di detossificazione epatica, in particolare per lo più quelli di classe I, possono “trasformare” queste molecole in composti derivati ancora più tossici. Fra queste sostanze vediamo a mero titolo esemplificativo il benzo(a)pirene, uno dei composti di sintesi più pericolosi, comune nel fumo di sigaretta ed anche, come vedremo in seguito, in alcune carni grigliate e/o fritte cotte a temperatura elevate.

Benzo-alfa-pirene e i suoi derivati epossidici

Il benzo(a)pirene è uno degli idrocarburi policiclici aromatici(IPA) più pericolosi, che si forma durante mediante processi di combustione parziale delle sostanze solide, fra cui spicca per “importanza” il fumo di sigaretta. Questo composto è un cancerogeno di classe 1 secondo la classificazione IARC, che include le sostanze così cancerogene per l’uomo che non è possibile stabilirne un livello minimo di rischio di esposizione. Ricordiamo che per tutti i composti con effetto cancerogeno, non esiste una dose sicura, ma solamente per l’appunto una dose accettabile, che si trova al di sotto di un livello minimi di rischio, ovvero un valore al di sotto del quale tutto sommato è parere della comunità scientifica che non aumenti in modo inaccettabile il rischio cancerogenetico in seguito a quei livelli di esposizione.

Il benzo(a)pirene per diventare “cancerogeno” deve essere convertito, tramite una complessa serie di reazioni che coinvolgono i sistemi di detossificazione di fase I, in benzo(a)pirene-7,8-diidrodiolo-9,10-diidrossido. Quest’ultimo derivato diviene in grado di legare il recettore AHR (aryl hydrocarbon receptor) ed il complesso cosi originatosi migra nel nucleo cellulare dove esercita diversi effetti negativi, fra cui quello più rilevante è la formazione di addotti con il DNA:

In generale, i prodotti epossidici elettrofili, come il sopra citato derivato del benzo(a)pirene, possono formare addotti con il DNA che portano principalmente a trasposizioni di tipo G-T nelle regioni colpite.

Dai più recenti studi condotti in letteratura sembra che uno dei principali meccanismi associati alla attività cancerogenetica dei derivati del benzo(a)pirene sia proprio l’induzione di mutazioni G-T nel gene del noto gene oncosoppressore p53, mediante la formazione di addotti al DNA.

Questo è un classico esempio di come questi composti “ingannano” i meccanismi di detossificazione epatica, che invece di aiutarci peggiora la situazione…..

Come diversi soggetti rispondono in modo “personalizzato” all’esposizione a questi composti:

Non tutti i soggetti metabolizzano il benzo(a)pirene nello stesso modo: ad esempio l’attività carcinogenica dei derivati del benzo(a)pirene è maggiore nelle femmine, a causa della presenza di 17-beta-estradiolo(E2), poiché in presenza di questo ormone si ha anche la formazione di un secondo composto carcinogenico ovvero il suo derivato idrossilato in posizione 4, 4OHE2.

Ma non è solo una questione di sesso:

Esiste anche una significativa variazione interindividuale, fra soggetti dello stesso sesso, che possono metabolizzare in modo estensivo o più contenuto tale sostanza, cui ne consegue un aumento del rischio degli effetti cancerogeni in seguito all’esposizione. A questo punto la domanda sorge spontanea:

Esiste una differenza genetica nel metabolismo del benzo(a)pirene?

I fumatori omozigoti per l’allele C (* 1 / * 1) del polimorfismo di CYP1B1 Leu432Val hanno mostrato una maggiore espressione di CYP1B1, rispetto ai fumatori omozigoti per l’allele G * 3 / * 3. I portatori omozigoti dell’allele C (* 1 / * 1), mostrando quindi una risposta maggiore a fattori ambientali che possono causare l’introduzione di questa sostanza nell’organismo. I polimorfismi nella catalasi (CAT, rs1001179) e nel citocromo P450 1B1 (CYP1B1, rs1800440) sono risultati significativamente associati alla formazione di addotti del DNA, specialmente se presenti in combinazione. Il polimorfismo genetico nella regione del promotore di CAT  può determinare la quantità e l’attività della catalasi, che può successivamente determinare dei cambiamenti nei livelli di espressione di CYP1B1.

Di conseguenza, entrambi i polimorfismi genetici modulano i livelli di addotto del DNA nei linfociti indotti dall’azione dei derivati del epossidici del Benzo(a)pirene ex vivo e, se presenti insieme, hanno un potenziale effetto sinergico in tal senso.

Ma col cibo quanto benzo(a)pirene introduciamo?

Una fonte di benzo(a)pirene e in generale di Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono le carni alla griglia e/o le cotture al forno a temperature superiori a 150-180°C.

Secondo uno studio condotto nel 2001, i livelli più alti di Benzo(a)pirene (fino a circa 4 ng / g di carne cotta) sono stati trovati in bistecche e hamburger molto ben cotti alla griglia e in pollo ben cotto con pelle alla griglia / al barbecue. Le concentrazioni di Benzo(a)pirene erano inferiori nelle carni grigliate / cotte al barbecue a cottura media e in tutti i campioni di carne alla griglia o in padella, indipendentemente dal livello di cottura. I livelli di Benzo(a)pirene negli articoli non a base di carne erano generalmente bassi. Tuttavia, alcuni cereali e verdure (ad esempio cavoli, cavolo cappuccio) avevano livelli per lo più inferiori a 0,5 ng / g e di conseguenza sicuramente molto inferiori rispetto ai prodotti a base di carne.

In generale, l’aumento del rischio cancerogenetico sottostante all’esposizione a composti di combustione parziale come il benzo(a)pirene in seguito all’ingestione di carni grigliate e/o cotte al forno a temperatura superiore a 150-180°C e ai prodotti più ricchi in benzo(a)pirene esposti sopra è comunque contenuto.

Ciononostante il rischio rimane contenuto se il consumo di tali alimenti rimane sporadico, il rischio persiste se il consumo diviene abituale, come ormai sostengono già da tempo le più importanti società scientifiche internazionali”.

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