Le intolleranze alimentari sono un argomento di moda, di cui spesso si sente parlare a sproposito. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza a partire da concetti di base, fino alle applicazioni pratiche!

Innanzitutto, vediamo di fare luce su cosa si cela dietro all’espressione, abusata, di “intolleranza alimentare”. La principale distinzione è tra le intolleranze genetiche, primarie, e quelle non genetiche, quindi secondarie ad altre malattie.

Le intolleranze alimentari genetiche sono causate da una minor efficienza degli enzimi deputati a digerire determinati cibi. In questo caso, assumere minime dosi del cibo a cui si è intolleranti non rappresenta un problema; lo è, invece, assumerne elevate quantità, aumentando lo sforzo digestivo dell’organismo.

Le intolleranze non genetiche, invece, inquadrano quei problemi conseguenti a patologie, per esempio infettive (tifo oppure violente gastroenteriti virali o batteriche), a carico dell’intestino. Le infezioni inducono un aumento della permeabilità intestinale, con esposizione dell’allergene e conseguente reazione del sistema immunitarioQueste attualmente non possono essere diagnosticate con certezza scientifica, ma solo tramite osservazione clinica e mediante le cosiddette diete di prova. Esistono in commercio svariati test di intolleranza alimentare, ma non sono supportati da letteratura scientifica pubblicata e riconosciuta nel mondo accademico e ospedaliero.

Altra cosa sono poi le allergie alimentari: non sono genetiche, ma subentrano nel corso della vita di una persona, e talvolta possono già essere presenti alla nascita. Sono dovute all’iper-reattività del sistema immunitario, che risponde all’ingresso di un allergene, anche di natura alimentare. Questo quadro determina reazioni anche dopo l’assunzione di minime dosi dell’allergene in questione, evidenziando quindi come siano situazioni differenti rispetto alle intolleranze.

Inoltre, vengono erroneamente definite intolleranze alcune semplici differenze di velocità di metabolizzazione degli alimenti. Infatti, la metabolizzazione può essere veloce (senza problemi) o lenta (con problemi), sia per quanto riguarda l’intero alimento  sia alcuni suoi principi attivi. In pratica significa che l’organismo accumula tanto più quella sostanza quanto più viene assunta nel tempo, senza smaltirla. Il problema non è quindi un’azione nociva diretta imputabile alla sostanza, ma le conseguenze sul piano clinico derivanti dalla sua ripetuta assunzione; è il cosiddetto effetto dose-accumulo

Diverso è il caso della sensibilità dei recettori: alcuni nutrienti non interagiscono bene con i recettori deputati alla loro assimilazione o metabolizzazione, come il recettore della leptina e dell’insulina. Ne derivano conseguenze sul piano clinico, definite intolleranze, ma che in realtà sono semplici alterazioni della sensibilità verso una particolare categoria di nutrienti. 

In questo “mare magnum” di reali intolleranze primarie e di semplici problematiche contingenti è sorto un business fatto di test, diete e cure di affidabilità spesso assai dubbia. Una moda, in sostanza.

D’altra parte esistono intolleranze vere. È il caso della celiachia, della sensibilità al glutine, dell’intolleranza primaria al lattosio da deficit nella biosintesi dell’enzima lattasi, responsabile della digestione del lattosio.

Intolleranza primaria al lattosio

Alcune intolleranze, quindi, possono essere oggettivate con certezza scientifica, come ampia letteratura medica internazionale ha ormai validato, grazie a mirati test genetici. Tra queste vi è l’intolleranza primaria al lattosio.

L’intolleranza primaria al lattosio è causata dalla scarsità dell’enzima lattasi, prodotto dalle cellule esposte sulla superficie dell’intestino tenue. Test del DNA per la mancanza/deficit di lattasi possono integrare metodi indiretti per la determinazione individuale del rischio di malassorbimento del lattosio.

Questa intolleranza è probabilmente l’intolleranza alimentare più diffusa al mondo, e non è da confondersi con l’allergia al latte, che invece deriva da una reazione del sistema immunitario alle proteine in esso contenute. Ci sono diversi gradi di intolleranza al lattosio, che vanno da pressochè totale a molto modesta. 

Se biosintetizzate poca lattasi, il lattosio contenuto nel latte non può essere del tutto scisso, e quindi assorbito, e perviene più integro nel vostro intestino. Rapidamente i batteri intestinali cominciano a metabolizzarlo, digerendolo al posto del vostro organismo. In tal modo si verifica un processo di  fermentazione, e producete grossi quantitativi di gas, il quale può causarvi un certo numero di sintomi addominali non piacevoli come crampi allo stomaco, rigonfiamento, flatulenza e, a volte, diarrea o, al contrario, stipsi. 

Cosa si può fare in questi casi? Si può seguire una dieta delattosata (priva di lattosio), così come introdurre supplementi a base di lattasi prima dell’assunzione di fonti significative di lattosio con la dieta.