La malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) è una sindrome clinica, causata dall’infezione dell’agente eziologico SARS-CoV-2. Dopo essersi inizialmente manifestato in Cina nel dicembre 2019, si è diffuso in tutto il mondo. SARS-CoV-2, è un beta-coronavirus, simile ad altri due coronavirus che hanno causato infezioni mortali negli ultimi due decenni, ad esempio il SARS-CoV e il coronavirus della Sindrome Respiratoria del Medio Oriente (MERS-CoV) [2].

SARS-CoV-2 si diffonde principalmente con il contatto diretto attraverso goccioline di saliva o secrezioni dalle vie respiratorie, quando una persona infetta tossisce o starnutisce [2]. Dopo essersi legato al recettore della superficie cellulare di ACE-2 dalla glicoproteina spike, entra nel citoplasma cellulare, dove rilascia il genoma dell’RNA e si replica, determinando la formazione di nuove particelle virali. Quindi, la cellula viene distrutta e il virus si diffonde ad altre cellule.

Sebbene le infezioni da SARS-CoV-2 possano essere asintomatiche o causare solo sintomi lievi nella maggior parte dei casi e meno letali delle infezioni da MERS-CoV, possono evolvere in polmonite interstiziale e sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) in quasi il 10-20% dei casi, soprattutto in quelli con età avanzata e comorbilità. Questo sottogruppo di pazienti è noto per avere livelli molto elevati di ferritina sierica e livelli di D-dimero, disfunzione epatica, tendenza trombotica e coagulazione intravascolare disseminata (DIC) che implica l’insorgenza della sindrome da iper-attivazione dei macrofagi (MAS), nota anche come linfoistiocitosi emofagocitica secondaria (sHLH). Risultati clinici e di laboratorio simili sono stati riportati anche in pazienti con infezioni da SARS-CoV e MERS-CoV [2].

In condizioni normali, le cellule infettate da virus vengono distrutte dalle cellule NK dell’immunità innata e dalle cellule T citolitiche CD8+ positive dell’immunità adattativa. Ciò porta all’apoptosi delle cellule presentanti l’antigene e delle relative cellule T citotossiche per evitare un’attivazione non necessaria dopo che l’attività antigenica è terminata. Tuttavia, se si verifica un difetto nell’attività citolitica dei linfociti, dovuto a problemi genetici o condizioni acquisite, ciò può portare all’incapacità delle cellule NK e T CD8+ citolitiche di distruggere (in termine tecnico lisare) le cellule presentanti l’antigene infettate e attivate, con conseguenti interazioni prolungate ed esagerate tra cellule immunitarie innate e adattative. In questo caso, molte citochine pro-infiammatorie, tra cui TNF, interferone-γ, IL-1, IL-6, IL-18 e IL-33, vengono secrete in modo fuori controllo, provocando una tempesta di citochine. L’intero processo patologico che inizia con difetti nell’attività citolitica dei linfociti, prosegue con una maggiore attività dei macrofagi e l’iperattivazione dell’intero sistema immunitario, con conseguente tempesta di citochine, ARDS e insufficienza multiorgano [2]. Questa condizione pericolosa per la vita è una delle principali cause di morte nei pazienti COVID-19 [2].

FATTORI PREDISPONENDI LA MAS E LA TEMPESTA DI CITOCHINE

Ad oggi non esiste un consenso su quali sono i fattori che causano o predispongono la MAS e la tempesta di citochine, ciononostante gli scienziati hanno recentemente proposto 4 meccanismi predisponenti:

  1. Compromissione della clearance virale

Il problema principale nell’infezione da COVID-19 è la ridotta clearance virale (ovvero capacità di eliminazione del virus che quindi permane nell’organismo a lungo), fattore in comune anche con le infezioni da SARS-CoV e MERS-CoV, i quali si sa che hanno a disposizione alcune strategie per combattere i meccanismi di difesa dell’ospite: ad esempio SARS-CoV e MERS-CoV possono produrre delle vescicole con doppia membrana senza alcuni degli antigeni superficiali usati dal sistema immunitario per il loro riconoscimento e sfruttano queste strutture per potersi replicare in sicurezza [2, 3]. Nell’ insieme tutte queste strategie di difesa portano a una risposta immunitaria antivirale ridotta e ad una aumentata clearance virale. Sebbene il test PCR sia negativo, la presenza di corpi di inclusione virale nelle cellule alveolari polmonari e nei macrofagi per almeno 2 settimane supporta ancora la possibilità di una mancata clearance del virus [2, 4]. Inoltre, è da notare che secondo recenti evidenze i virus a RNA, più permangono nell’organismo più aumenta la probabilità che possano mutare e quindi produrre le famose varianti di cui abbiamo tutti sentito parlare [2].

  1. Bassi livelli di interferoni di tipo I

Un altro fattore che contribuisce sono i bassi livelli di interferoni di tipo I (INF-1), che sono davvero molto importanti nella risposta antivirale e nella clearance virale [2]. Le proteine cellulari che riconoscono gli acidi nucleici virali sono mediate dalla stimolazione degli interferoni durante le infezioni virali. Il riconoscimento dell’RNA virale mediante il riconoscimento del anti-melanoma differentiation-associated gene 5 (MDA5) è un passaggio necessario per l’attivazione dell’interferone di tipo 1; infatti, la carenza di MDA5 provoca una maggiore tendenza alle infezioni virali. Una proteina accessoria di MERS-CoV chiamata 4a, si lega all’RNA a doppio filamento, bloccando così l’attivazione di MDA5 e l’induzione di IFN-1. Una simile sovra-regolazione delle citochine pro-infiammatorie, correlato a bassi livelli di INF-1 è stata osservata nell’infezione da MERS-CoV [2, 5].

  1. Aumento delle trappole extracellulari dei neutrofili (NET)

I neutrofili possono uccidere i patogeni invasori inclusi i virus non solo attraverso la fagocitosi dei microbi, la formazione di specie reattive dell’ossigeno, la degranulazione e la secrezione di antimicrobici, ma anche attraverso la formazione di NET. I NET sono reti di fibre extracellulari, composte principalmente da DNA di neutrofili che legano e uccidono i patogeni extracellulari riducendo al minimo i danni alle cellule ospiti [2, 6]. Barnes et al. hanno suggerito che i neutrofili possono contribuire alla patogenesi di COVID-19 mediante i NET, sulla base dei risultati dell’autopsia. ù Il trasferimento di frammenti di DNA nello spazio extracellulare può essere dovuto al rilascio di DNA mitocondriale insieme all’interruzione della membrana plasmatica o mediante un particolare processo noto come NETosi. La NETosi è un tipo di morte cellulare programmata distinta dall’apoptosi e dalla necrosi. L’RNA virale e le citochine proinfiammatorie possono stimolare la formazione sia di NET che di NETosi. Sebbene il ruolo esatto dei NET nell’immunità antivirale non sia stato ancora chiarito, potrebbero contribuire alla patogenesi del COVID-19 [2].

  1. Altri meccanismi associati

Alcuni altri meccanismi sembrano essere implicati in questi meccanismi patogenici

La pirotosi è una forma di morte cellulare programmata altamente infiammatoria e dipendente dalla caspasi-1 che si verifica più frequentemente in caso di infezione da agenti patogeni intracellulari e fa parte della risposta antimicrobica. È stato ipotizzato che anche la pirotosi con rapida rottura della membrana plasmatica e rilascio di contenuto intracellulare proinfiammatorio possa svolgere un ruolo nella patogenesi di COVID-19. La rapida replicazione virale che provoca un aumento della pirotosi può portare a un massiccio rilascio di mediatori dell’infiammazione [2].

Liu et al. ha sottolineato l’importanza degli anticorpi contro la glicoproteina spike (anti-S-IgG) come promotori dell’accumulo di monociti/macrofagi proinfiammatori nei polmoni. Hanno suggerito che la risposta dell’anticorpo virale specifica può causare cambiamenti patologici, che possono essere responsabili del danno polmonare mediato dal virus [3, 5]. Golonka et al. ha ipotizzato che la proteina S della glicoproteina sui coronavirus possa subire un cambiamento conformazionale ed entrare nelle cellule ospiti attraverso la regione Fc delle IgG. In altre parole, hanno proposto un meccanismo che consente il potenziamento anticorpo-dipendente dell’ingresso virale nelle cellule ospiti [2].

Ancora, la corruzione del metabolismo dei gruppi eme può essere una delle cause di elevati livelli sierici di ferro libero e può contribuire all’infiammazione. Recentemente, è stato riportato che la morte cellulare mediata dal ferro, nota come ferroptosi, svolge un ruolo nella patogenesi di varie malattie [2].

CONCLUSIONI

Nel loro insieme, i meccanismi di difesa del virus che possono ridurre la risposta immunitaria antivirale, insieme a difetti genetici o acquisiti nei processi immunitari dell’ospite, possono compromettere la clearance virale, con conseguente MAS e attivazione immunitaria inappropriata, causando ARDS e insufficienza multiorgano. Il motivo per cui il decorso della malattia è variabile da asintomatico a letale può essere spiegato da fattori genetici e dell’ospite. Questo potrebbe anche spiegare perché il numero di decessi potrebbe essere alto in alcune famiglie [2].

Dato che anche i fattori genetici svolgono un ruolo nei casi primari di HLH/MAS, è stata eseguita una meta-analisi per analizzare sia i paesi in cui sono segnalati frequentemente casi di HLH/MAS sia dove la frequenza delle infezioni gravi e letali da COVID-19 è elevata. È interessante notare che le distribuzioni geografiche sono risultate simili [2, 7].

Ovviamente bisogna avere molta cautela nell’interpretazione di questi studi, che comunque si riferiscono ad evidenze parziali e ancora da delineare chiaramente. Ciononostante, effettuare alcuni panel genetici implicati proprio nella genesi di questi meccanismi immunitari e valutare anche come eventuali trattamenti nutraceutici, farmacologici o dietetici stanno modificando l’equilibrio redox dell’organismo e quindi anche l’eventuale stato pro-infimammatorio generato dalle condizioni di distress ossidativo potrebbe aiutare a creare un substrato che sfavorisce invece che favorire questa catena fisiopatologica, in particolare quantomeno prima dell’insorgenza della tempesta citochinica

BIBLIOGRAFIA

  1. Galimberti D et al. Nutrigenomica e Epigenetica: dalla biologia alla clinica, 2017 Edra Ed.
  2. Soy M, Keser G, Atagündüz P, Tabak F, Atagündüz I, Kayhan S. Cytokine storm in COVID-19: pathogenesis and overview of anti-inflammatory agents used in treatment. Clin Rheumatol. 2020;39(7):2085-2094. doi:10.1007/s10067-020-05190-5
  3. Snijder EJ, Van Der Meer Y, Zevenhoven-Dobbe J, Onderwater JJ, van der Meulen J, Koerten HK, Mommaas AM. Ultrastructure and origin of membrane vesicles associated with the severe acute respiratory syndrome coronavirus replication complex. J Virol. 2006;80(12):5927–5940. doi: 10.1128/JVI.02501-05.
  4. Xu Z, Shi L, Wang Y, Zhang J, Huang L, Zhang C, Liu S, Zhao P, Liu H, Zhu L. Pathological findings of COVID-19 associated with acute respiratory distress syndrome. Lancet Respir Med. 2020;8(4):420–422. doi: 10.1016/S2213-2600(20)30076-X.
  5. Chan JF, Lau SK, To KK, Cheng VC, Woo PC, Yuen K-Y. Middle East respiratory syndrome coronavirus: another zoonotic betacoronavirus causing SARS-like disease. Clin Microbiol Rev. 2015;28(2):465–522. doi: 10.1128/CMR.00102-14.
  6. Kaplan MJ, Radic M. Neutrophil extracellular traps: double-edged swords of innate immunity. J Immunol. 2012;189(6):2689–2695. doi: 10.4049/jimmunol.1201719.
  7. Ramos-Casals M, Brito-Zerón P, López-Guillermo A, Khamashta MA, Bosch X. Adult haemophagocytic syndrome. Lancet. 2014;383(9927):1503–1516. doi: 10.1016/S0140-6736(13)61048-X.