Alzi la mano chi di noi non si è sentito, almeno una volta nel corso della vita, stanco, irritabile, depresso. Pare proprio che la depressione sia la sindrome dei nostri tempi. Questa società mentre sembra renderci sempre più liberi grazie all’avvento di sofisticate innovazioni tecnologiche in grado di semplificarci la vita, ci costringe in realtà a ritmi di vita stressanti e logoranti. La nostra giornata, fin da quando siamo imbottigliati nel traffico mattutino, è scandita da una lunga serie di appuntamenti e doveri che ci accompagnano nevroticamente fino a sera, togliendoci ultimamente anche la pausa del mezzogiorno: come affermano recenti studi sociologici il pranzo seduto è ormai scomparso dalle abitudini della vita odierna, sostituito, e non sempre, da un fugace panino in piedi. Non c’è da stupirsi nel constatare che si è notevolmente alzata anche la percentuale di bambini depressi già in tenera età, schiacciati da doveri e aspettative quasi pari a quelle di un adulto.
Come afferma il celebre psicoanalista Hillman:
Il nostro modo di vivere e di pensare è ossessivo; ognuno di noi è soggetto alla tirannia di una vita che va di fretta, una vita in accelerazione spietata.
La parola d’ordine di ogni messaggio è “il prima possibile”.
Fast food, fast track, fast forward, cibo veloce, strada veloce, avanti tutta!… Ecco qui l’essenza della nostra epoca e del suo modello maniacale: come disse A. Huxley all’inizio del Novecento, noi moderni non abbiamo inventato nessun nuovo peccato capitale oltre ai sette peccati capitali dei tempi antichi, se non la fretta. E se ci guardiamo intorno vediamo tanta gente come noi, sempre pronta a scattare, urlare, litigare, a dire: “…non ce la faccio più, sono stressato…”.
Da qui la necessità ancora una volta di contrastare lo stress, l’ansia della cosiddetta vita moderna e il cattivo umore, che non sempre si trasforma in depressione vera e propria, ma che contribuisce a impedirci di gioire delle piccole cose altrimenti in grado di arricchire la nostra quotidianità. Cominciamo ad accorgerci del problema e a viverlo come un’occasione per ripartire, per scoprire che cosa ci fa stare veramente bene, cosa ci aiuta; per capire che abbiamo bisogno di una mano, di sentirsi voluti bene, di sentirci a casa, di “umiliarsi” e chiedere aiuto.
Viviamolo come una sfida in cui la fatica può non essere solo per non affogare, ma per attraversa tutta la foresta per un ripido sentiero che in realtà ci sta portando in vetta!